Anche il giornalismo fa letteratura. Sicuramente non della migliore, fatta di una scrittura lineare, semplicistica. Comunque sempre letteratura è. La dimostrazione non recente ci viene da un esperimento antropologico fatto appunto da un giornalista, John Howard Griffin, attivo nel periodo della segregazione razziale negli Stati Uniti. In Italia il suo lavoro dal titolo “Nero come me” è arrivato solo alla fine degli anni settanta, ma rimane, anche oggi, una lettura quantomai interessante e attualizzabile. Griffin fece ciò che ognuno dovrebbe fare per capire: si è messo nei panni dell’altro e ha fatto un viaggio. Ma quando dico che si è messo nei panni dell’altro non lo dico in senso metaforico. Con l’aiuto di un amico medico, ha assunto un farmaco che scuriva la pelle. Un pò di crema scurente e una rasatura del capo lo ha reso un vero e proprio appartenente alla razza afro-americana. Il risultato? Ieri l’indignazione e le minacce di molti bianchi. Oggi, spererei, una riflessione più profonda sull’altro. Ho subito il fascino di questo lavoro soprattutto perché mi ha dato una sicura testimonianza: il grande valore sociale che la scrittura può avere.
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