Una paziente, anziana, ma non troppo (settantenne), mi racconta le difficoltà fisiche che le si sono riversate addosso dopo un grave dispiacere. Mi racconta anche di quanto la lettura le sia di aiuto, ma parzialmente. Le manca il lavoro fisico che non può più fare: il lavoro a maglia, le pulizie di casa, il badare ai nipoti. Senza la lettura non può vivere, ma la privazione forzata di quel lavorio alacre, che muove anche il cervello, la lascia svuotata, nonostante il continuo “pieno” che fa di libri.
Esiste una lacuna nell’assistenza alle persone che sono costrette a modificare la propria vita a causa di una malattia cronica. La riabilitazione di chi subisce una grave danno fisico esiste, ma non è considerata la difficoltà di quanti vedono ridotte le proprie capacità da malattie che, inesorabilmente, le inchioda alla passività. La storia di questa signora ci mostra un limite della lettura: non fa sentire utili. A una persona dalle ridotte capacità fisiche, oltre la lettura, serve altro. È possibile aiutare le persone a trovare questo elemento? Qualche esempio: indurre a dare consigli di lettura a chi cerca nuovi libri; stilare liste di libri per argomenti destinati ai bambini in biblioteca; parlare nelle scuole delle proprie letture. In questo modo la propria conoscenza diventa strumento, non fisico, ma certamente utile. Credo che il problema stia proprio nel sentire che la propria vita ha ancora un senso, trovando soddisfacente muovere la mente. Con i miei pazienti questa cosa la posso attuare io. Ma al loro ritorno a casa tutto tornerà come prima. È un pensiero scoraggiante? No. È semplicemente un pensiero che indica un nuovo ambito in cui ripensare la Biblioterapia.
La bibliotecaria di Sarajevo che salvava i libri
Nella notte tra il 25 e il 26 agosto del 1992, in piena guerra dei Balcani in Bosnia ed Erzegovina, perse la vita Aida Buturović,