Quando gli scrittori fanno la differenza in politica

Chi conosce gli scrittori Grossman e Oz? Sono entrambi israeliani. Sono scrittori. Sono firmatari, assieme ad altri esponenti della cultura e a ottocentocinquanta intellettuali di diversa estrazione, di un appello destinato a diversi stati europei affinché riconoscano lo stato palestinese. Non mi addentro nella questione, difficile e controversa. Ciò che vorrei condividere con voi è la forza che questo appello sta generando, proprio grazie all’esposizione mediatica e politica a cui questi, e altri scrittori, si sono sottoposti. Perché è grazie al loro essere scrittori che possono farsi ascoltare; alla parola, anche politica, che hanno sempre saputo diffondere in modo pacifico. La parola penetra, ma in modo silenzioso. La parola si serve di autorevolezza, non di decisionismo a ogni costo. Uno scrittore traghetta nelle menti un’idea, non la impone, ma la offre. Pensiamoci: questa descrizione può essere applicata alla politica? Certamente no. Proprio per questo la presenza, discreta, capace, neutrale degli intellettuali, degli scrittori capaci di maneggiare la parola in particolare, è importante. A Isralele, ma non solo. Forse la deriva nostrana dipende anche da questa assenza?

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