Ovidio nuoce gravemente alla salute?

Ovidio nuoce gravemente alla salute? Parrebbe di sì stando al dibattito partito dalla Columbia University. La questione è semplice: alcuni libri di letteratura greco-romana riporterebbero episodi di stupri, violenze e schiavitù offensivi per quanti hanno subito simili atrocità nella vita e quindi andrebbero etichettati come testi da non utilizzare o da trattare con le dovute cautele. C’è un termine per definire questo fenomeno traumatico: trigger warning. Nato per descrivere le immagini in grado di far riemergere i traumi nei veterani del Vietnam, è poi stato utilizzato per indicare la presenza di contenuti in grado di turbare le vittime di violenze sessuali. Non ci sono dubbi sulla necessità di tutelare ogni persona nella sua sensibilità e nelle sue difficoltà. Per farlo è giusto segnalare negativamente alcuni testi? Bisogna bandirli? Modificarli? Evitarli?
C’è un elemento per me interessante in questo dibattito: la consapevolezza che un testo può avere degli effetti sul lettore. Non stiamo parlando di immagini, di suoni o rappresentazioni teatrali, ma di testo scritto. E se un testo scritto può avere un effetto dannoso, certamente può avere anche un effetto benefico, ovvero può innescare un effetto biblioterapeutico. Non se ne parla negli articoli che trattano questo dibattito e per questo è assente ogni forma di risoluzione ad esso collegato. Sarebbe interessante capire se qualcuno ha riletto i passi incriminati di Ovidio con gli studenti contrari, magari in una chiave diversa, con premesse adeguate e tempi dilatati, con poche persone e dove era prevista la discussione. In questo caso si potrebbe parlare di applicazione della biblioterapia. Ma temo che la voglia di fare polemica sia più forte del desiderio di capire la letteratura e i diversi modi di utilizzarla. E il vero rammarico è che questa polemica si generi in un ambito, quello universitario, dove la letteratura dovrebbe essere studiata e compresa in ogni suo aspetto. Anche questo.

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