“Dev’essere colpa di quel libro! Me lo merito” bofonchiò tornando in camera sua.
Al momento di spegnere la luce esitò.
“Quasi quasi mi leggo ancora un paio di pagine”.
Ma se lasciava la luce accesa, e per qualche motivo Sylvie si alzava, da sotto la porta si sarebbe vista filtrare la luce e la cugina si sarebbe sorpresa di trovarlo ancora sveglio dopo che aveva dichiarato di cascare dal sonno.
Frugò nell’armadio della biancheria alla ricerca di un piumino, lo depose ai piedi della porta per ostruire la fessura, riaccese la luce e si rimise a leggere.
Quell’Eva Simplon lo convinceva sempre di più. Ragionava come lui, non le andavano a genio le stesse cose, salvo poi soffrire del suo stesso rigore. Proprio come lui. Gli piaceva quella donna.
Duecento pagine dopo, la lotta delle palpebre per restare aperte si era fatta talmente ardua che decise di dormire e chiuse il libro.
Tratto da La sognatrice di Ostenda di Eric-Emmanuel Schimtt