Quello strano linguaggio che si chiama Poesia

Ieri sera l’incontro all’Università Popolare di Sona è stato dedicato alla poesia, tema che negli anni in cui ho tenuto il corso di biblioterapia mi ha sempre impegnato molto. Dalla mia  esperienza ho potuto notare che sono molte di più le persone che scrivono poesie di quelle che le leggono. Il linguaggio poetico è percepito in modo diverso da ognuno. Lo stile, la lunghezza, l’argomento sono fattori determinanti. Se già normalmente il mio compito è quello di selezionare il materiale letterario a seconda delle caratteristiche delle persone a cui lo offro, in questo caso l’attenzione necessaria è ancora maggiore. Tra i partecipanti è spiccata la diversità di opinioni e di gradimento. Alcuni tendevano ad avere quasi timore a intraprendere un percorso attraverso la poesia. C’è la paura di non essere all’altezza, di trovarsi invischiati in materiale che non si riesce a maneggiare e che ricorda le mnemoniche e lunghissime poesie che si era costretti a imparare ai tempi della scuola. Per tutti questi motivi ieri sera ho agito con lentezza, cercando di passare da un testo estremamente moderno, quello di Lentamente muore di Martha Medeiros, per poi cercare di introdurmi con estrema prudenza in Donna me prega di Guido Cavalcanti. L’effetto? Non semplice da descrivere: perplessità? Difficoltà a capire il piacere sonoro? Impossibilità a comprendere il significato senza un mezzo di decodificazione? Certamente tutto questo. Ad un certo punto è stato introdotta la questione della musica leggera come forma di poesia moderna. Ho provato a lanciare una provocazione facendo ascoltare Eroe di Caparezza. Nonostante le diversità di opinioni ci siamo avviati verso una considerazione comune: la poesia può essere molto differente, a volte irriconoscibile, tanto da non sembrare un linguaggio poetico. Tuttavia la poesia è individuabile dal ritmo che mantiene, anche quando non c’è rima o cadenza evidente. Finché c’è ritmo c’è poesia, così come il ritmo del cuore detta la vita.

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