L’altro ieri sera è andato in onda in televisione il film Quasi amici, dove si parla di un uomo tetraplegico e del suo badante di cui diviene amico. Si tratta di una storia vera tratta da un libro scritto dal protagonista che, nonostante la tetraplegia, è riuscito a ricostruirsi un’esistenza gratificante e attiva. Ho letto da più parti l’effetto che il film ha fatto su molti, soprattutto su chi ha un proprio caro nelle medesime condizioni di Philippe Pozzo di Borgo, costretto all’immobilità da un incidente: empatia, compassione, condivisione, tristezza, paura. Ma all’immediatezza del film va contrapposto il ritmo e la struttura del libro. Intanto, il titolo di questa autobiografia non è Quasi amici, ma Il diavolo custode. Cosa cambia? Da sola, questa differenza potrebbe dare vita a una discussione non da poco. Altra cosa: il film propone solo una porzione di ciò che è narrato nel libro. E non si tratta di questioni di poco conto. Nonostante ciò, credo che in entrambi i casi sia davvero prezioso il messaggio che viene trasmesso.
Anche se la biblioterapia riguarda i libri e in essa credo, e riesco a ottenere il meglio, non penso che i film siano da considerare inferiori. Il cinema è uno strumento completamente diverso dalla letteratura. Entrambi raccontano, ma sono mezzi che hanno potenzialità estremamente differenti. Ed entrambi sono adatti ad alcuni, ma non a tutti. Se chi legge guardasse qualche film in più e chi guarda film leggesse un po’ di più, non sarebbe una cosa bellissima?