La storia della maestra che interpella l’Accademia delle Crusca per capire se la parola inventata dal suo alunno è corretta espressa nell’italiano corrente ormai la conoscono tutti. Ovunque si vada in questi giorni l’aggettivo petaloso è citato e commentato. Confesso la mia perplessità in merito. Apprezzo l’idea della maestra: quale modo migliore per far capire in modo tangibile a degli alunni di terza elementare qual è la funzione dell’Accademia della Crusca se non quella di metterla all’opera? Ma la cosa avrebbe dovuto fermarsi qua, mentre è diventata una specie di fenomeno mediatico. Mi piacerebbe sentire i commenti dei compagni di scuola del piccolo inventore di parole balzato alle cronache con tanto di foto: “perché lui sì e io no?” Tutti i bambini tendono a inventare parole e non solo nei primi anni di vita. Ogni genitore potrebbe testimoniarlo attestando anche la bellezza di alcune trovate bizzarre dei propri figli. E poi non si capisce tanto clamore. Il fatto che una parola entri nel dizionario di lingua italiana dopo essere stata utilizzata in modo diffuso e consueto non è una novità e a ogni nuova edizione dei vocabolari c’è un servizio al telegiornale che ne parla. Ricordate l’effetto che fece quando la parola tronista fece ingresso nello Zingarelli? Non solo. Anche le regole grammaticali seguono lo stesso percorso. La lingua parlata precorre la strada della regola scritta e ciò che oggi è scorretto, domani potrebbe non esserlo più. Complimenti all’inventiva della maestra che ha saputo essere creativa nel proprio lavoro. Ma petaloso ripetuto in ogni occasione non si può proprio sentire più.
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