09/06/2012
Era il 1933. Avevo perso il mio lavoro part-time e non ero più in grado di contribuire al bilancio familiare. La nostra unica entrata era quella che mia madre riusciva a ottenere cucendo vestiti per altre persone. Poi mia madre si ammalò per alcune settimane e non poté lavorare. L’azienda elettrica ci sospese la fornitura della luce perché non avevamo pagato la bolletta. Poi ci tagliarono anche il gas. Poi anche l’acqua. Ma l’ufficio di igiene impose alla società di ripristinare la fornitura dell’acqua per motivi sanitari. La dispensa era davvero vuota. Per fortuna avevamo un orto con delle verdure e riuscivamo a cuocerle su un falò nel cortile dietro casa. Poi un giorno la mia sorellina più piccola ritornò tutta giuliva da scuola dicendo: “Domani dobbiamo portare a scuola qualcosa da dare ai poveri”. Mia madre sbottò: “Non conosco nessuno che sia più povero di noi”. Ma sua madre, che in quell’epoca viveva con noi, la zittì tirandola per una manica e con un’occhiataccia. “Eva”, disse, “se darai alla bambina l’idea di essere poveraccia a questa età, si sentirà una poveraccia per il resto della sua vita. C’è ancora un vaso di marmellata. Può prendere quello.” La nonna prese della carta colorata e un pezzo di nastro rosa con il quale avvolse il nostro ultimo vasetto di marmellata e Sis il giorno dopo portò a scuola, trotterellando tutta fiera, il suo dono per i poveri.
E da quel momento in poi, ogniqualvolta la comunità dovette affrontare un problema, Sis ritenne, con grande naturalezza, di essere parte della soluzione.
Tratti da Brodo caldo per l’anima per le donne di J. Canfield, M.V. Hansen, J.R.Hawthorne, M. Shimoff