Vennero all’Università di Verona nel maggio del 2011 per un convegno dal titolo La scienza del Teatro. Quell’anno stavo seguendo il corso, per la laurea magistrale in lettere, di Filologia Romanza tenuto dalla prof.ssa Brusegan che con Dario Fo aveva collaborato per gli studi sulla letteratura giullaresca del medioevo, e su questo ho studiato a lungo (e qui si fermi a pensare chi crede che il Nobel di Fo non sia stato meritato).
L’aula magna dell’Univesità era ben più piccola dei grandi teatri cui Fo e Rame erano abituati, contenuta quanto bastava per vederli da vicino, sentirsi partecipi. Perché è questo che accadde. Una forza prorompente venne da entrambi, lasciando basiti per tutta l’energia che riuscivano a emanare. Lei, così preoccupata della stanchezza di lui, improvvisò un monologo scritto sull’orma dell’Elettra, lasciando tutti senza fiato per la performance incredibile, per farlo riposare. Lui, energico e appassionato come pochi giovani sanno essere, usando sapientemente parole e corpo sembrava lanciarsi su di noi, come una rock-star alla fine di un concerto. Mai si sarebbe pensato che fosse possibile che un corpo di quell’età potesse contenere un fanciullo. Eppure era così. E’ quel fanciullo che oggi salutiamo, ringraziandolo dell’energia che, chi lo ha visto lo sa, ancora si riaccende al solo ricordo. Quel fanciullo che raggiunge una donna eccezionale, l’unica in grado di stare accanto a un grande uomo come fu lui.