Ci sono libri, come questo, che sono rari e preziosi. La Giornata della Memoria ci induce a mantenere vivo il ricordo della Shoah, ma sempre più spesso la cosa si traduce in un’annoiato assolvimento di un dovere da svolgere. Appare sempre di più come un rituale vuoto. E potremmo chiederci: cosa c’è ancora da sapere sulla Shoah? Esistono zone d’ombra su cui gettar luce? Daniela Padoan raccoglie in Come una rana d’inverno tre interviste a donne italiane deportate ad Auschwitz, ponendo particolare attenzione nell’intervistarle a portare a galla le differenze di genere che ci sono state tra i deportati. La questione può apparire banale o poco incisiva. Leggendo, si scopre, invece, quanto sia stata significativa questo tipo di diversità, come anche dopo la liberazione vi sia stato un approccio diverso nella trasmissione della memoria, così come nei modi di superare il trauma e continuare a vivere. Cosa significava la rasatura del capo per una donna? Quanto incideva la preoccupazione di gestire le mestruazioni senza neppure una pezzuola a disposizione? C’è stata nei lager una qualche forma di sorellanza? Oltre al pregio di rispondere a queste e altre domande, Come una rana d’inverno ha anche quello di essere una lettura coinvolgente e sobria in cui la voce delle donne arriva dritta al cuore.
Consigliato a quanti vogliono approfondire il tema della femminilità nei lager e a chi desidera accostarsi al tema attraverso un testo non troppo crudo.