La celebrazione del venticinquesimo anniversario della morte di Giovanni Falcone, di sua moglie, Francesca Morvillo, e dei tre uomini della scorta, è la giusta occasione per spiegare meglio ai giovani chi sono queste persone e cosa ha significato per il nostro Paese quello che è accaduto. La nitidezza e la semplicità del libro Per questo mi chiamo Giovanni di Luigi Garlando ne fanno uno strumento utile per raccontare ai più giovani la vita di Falcone, utilizzando un senso di vicinanza particolare. Il racconto parte infatti da quando Giovanni era un bambino, per arrivare alla solitudine vissuta da magistrato, e giungere fino alle conseguenze estreme dell’attentato. So che molte scuole adottano questo libro. Credo che se a proporlo a un ragazzino fosse un genitore, che dopo la lettura contribuisse parlando di ciò che ricorda dell’attentato e dei sentimenti provati in quell’occasione, si genererebbe un momento davvero unico, non solo per parlare di questo argomento, ma anche per confrontarsi con i propri figli in modo diverso. E’ una forma di biblioterapia semplicissima, ma incredibilmente utile. Spesso la difficoltà a creare un dialogo tra genitori e figli è la mancanza di argomenti condivisibili. In questo caso, l’argomento ce lo procura il libro e l’anniversario.
L’attentato di stanotte a Londra ci mostra, una volta di più, quanto sia importante acquisire consapevolezza del mondo che cambia, degli eventi terribili con cui bisogna convivere. Non è semplice, ma è necessario. E’ stato scoraggiante vedere Falcone ucciso in modo tanto drammatico da far convincerci che chi era nel giusto era maggiormente esposto al pericolo. Oggi non è molto diverso. Abbiamo bisogno di parole che sappiano raccontare le nostre preoccupazioni e sappiano narrare di esempi virtuosi che sanno combattere ciò che ci spaventa. Per andare avanti, verso un futuro migliore.