Questo libro di Simona Vinci è uno di quelli che non avevo desiderio di leggere e che poi mi ha conquistato. Come? Così, per caso. Mi serviva un testo breve che mi “ripulisse” dalla lettura che stavo facendo e questo stava nella mia libreria. E per incanto mi sono trovato nella scrittura densa, ma affilata, di Simona Vinci. Parla, mia paura è la storia di depressione dell’autrice, ma non solo. L’autobiografia di questa parte della sua vita serve da specchio per amplificare la condizione che molti vivono. Ma ciò che più è incisivo nel libro è come l’anima messa a nudo dall’autrice permetta di affrontare l’argomento senza sensi di colpa. Se l’inizio riguarda le crisi di panico e t’inchioda subito alla pagina, la parte che più ho apprezzato è quella che riguarda la depressione post-partum. La franchezza con cui si afferma la dipendenza, non sempre positiva, che la maternità genera in ogni madre verso il proprio figlio è qualcosa che non dubito aiuterà molte donne che la leggeranno. Niente sensi di colpa, ma una certezza: la paura che a tuo figlio possa accadere qualcosa ti accompagnerà per sempre.
Mi è stato inevitabile fare dei confronti con altri libri che parlano della depressione. In particolare con Gli All Blacks non piangono mai del rugbista John Kirwan che ho molto apprezzato, ma che manca di un elemento che c’è in Parla mia paura: la scrittura d’autore. Simona Vinci scrive da dio e il fatto che all’inizio della lettura l’ho trovata antipatica, per innamorarmene poi alla fine, lo testimonia. Spesso la scrittura di testimonianza è considerata sufficiente a traghettare i messaggi. In realtà, una bella scrittura, di quelle che ti catturano e ti fanno sentire tra le carni dello scrittore riesce a trasmetterti cose indicibili pur usando le parole. E’ questo il vero miracolo che compiono gli scrittori.
Consigliato a chi soffre di disturbi dell’umore, ai loro parenti e amici, e agli operatori del settore.