Dall’intervento di Natalia Tukareli, bibliotecaria al Rouge Valley Health System, Scienze della Salute, a Toronto (Canada), alla conferenza internazionale tenuta a Roma a giugno del 2014 dal titolo Divided we fall, united we inform, è nato un interessante articolo (che potete trovare qui) sull’utilità della biblioterapia in ambito clinico. Tukareli afferma come l’educazione sanitaria sia in grado di far risparmiare dai tre ai quattro dollari a persona che accede al sistema sanitario. Questo tipo di educazione, secondo la sua esperienza, può essere erogata dalle biblioteche ospedaliere le quali possono interagire con le biblioteche pubbliche attraverso progetti di biblioterapia. In che modo? Il primo riguarda la possibilità di selezionare materiale che parla di problemi sanitari e che siano comprensibili, esaustivi e adatti all’utente, così da poterlo far utilizzare in modo autonomo o accompagnato da spiegazioni all’interno della biblioteca. Il secondo si realizza attraverso la biblioterapia creativa, ovvero attraverso la lettura a voce alta all’interno di un gruppo di brani che poi vengono discussi con un facilitatore. Nell’articolo si trova la descrizione di una sperimentazione svolta in Sudafrica con giovani figli di madri seriopositive che convivono con lo stigma della malattia. I risultati sono incoraggianti.
A fronte della possibilità di migliorare la qualità degli interventi sanitari, ma anche di avere un risparmio economico sul lungo termine, in Italia rimaniamo comunque ancorati a un approccio per la maggior parte strutturato in modo tradizionale e medicalizzato. Quante biblioteche ospedaliere avete visto nella vostra vita? E di quanti progetti di educazione sanitaria, magari di biblioterapia, strutturati sul lungo termine siete al corrente?
Serve tempo, forse per il nostro paese di più che per altri. Ma da articoli come questi si può sperare che anche anche nel nostro Paese si possa scoprire che educazione e libri possono avvantaggiare le persone e il sistema.