Chi lavora con i libri, e più specificatamente con la biblioterapia, a volte è talmente pressato dalla necessità di presentare dei risultati di efficacia per essere preso in considerazione dalle discipline scientifiche da lasciarsi sfuggire un punto importante: le tecniche psicologiche e gli indirizzi terapeutici cambiano e cambieranno, ma il valore di ascoltare e raccontare storie rimane e rimarrà uguale e intatto. E’ il preambolo di questo articolo dal titolo The Power of Story. The Role of Bibliotherapy for the Library (qui il testo completo). Partendo da questo punto e dalla consapevolezza che un bibliotecario non è un professionista della salute, con tutti i limiti che questo comporta, l’articolo offre un interessante punto di vista riguardo l’utilizzo della biblioterapia con i bambini che si trovano in mezzo a un evento disastroso. Con la diffusione del terrorismo non è difficile pensare a ciò che può significare per un bambino assistere a una tale situazione. Negli eventi disastrosi sono inclusi i terremoti, ma anche incidenti di vario genere che creano un trauma e mettono in difficoltà il mantenimento del senso della propria esistenza. E per i più piccoli questo è ancora più vero.
Fornire servizi di biblioterapia da parte di personale non medico impone di rimanere all’interno di confini determinati. Raccontare storie e parlarne significa porsi obiettivi ben determinati che rientrino nei confini professionali:
– creare un luogo sicuro che abbia come confine il luogo della lettura;
– permettere al bambino di sentirsi attivo attraverso la lettura e il dialogo anziché percepirsi come vittima;
– generare un’atmosfera calma e tranquilla;
– limitare le emozioni negative e contenerle dirigendo l’attenzione agli eventi della storia raccontata;
– rafforzare il principio che la bontà nel mondo è preponderante e che c’è sempre speranza;
– favorire l’idea di sé in modo attivo e non passivo, attraverso l’identificazione nelle storie;
– aiutare a mantenere un flusso di pensiero sequenziale e non confuso;
– stimolare le capacità di problem-solving.
L’articolo offre anche una soluzione fondamentale per evitare di scivolare in ambiti medici e che rappresenta una regola aurea per i biblioterapisti “laici”: tornare sempre alla storia raccontata quando il bambino riferisce di sé in un’ottica che necessita di consulenza medica. Il bibliotecario, o il facilitatore, racconta storie, favorisce il flusso narrativo, la sequenza, le emozioni positive; stimola le capacità di intravedere nelle narrazioni la possibile soluzione di problemi reali (problem-solving), crea un momento di tranquillità, isola dalla pressione stressante circostante. Inoltre, il racconto di storie stimola il senso di comunità. Pensiamo all’importanza che aveva per i nostri nonni trovarsi nelle stalle per ascoltare racconti narrati dai più abili e di come questo creava un senso di appartenenza al gruppo e diventerà più facile capire questa funzione della biblioterapia. Ma sono funzioni che non sono in grado di prendersi carico di questioni interiori profonde. Allo psicologo il compito di affrontare questioni psicologiche, al biblioterapista quello di mettere le persone di ogni età sulle ali dei libri e aiutarli a volare.