La maggior parte di noi conosce Maxence Fermine per il racconto Neve che assieme a Il violino nero e L’apicoltore è andato a comporre una trilogia chiamata La trilogia dei colori. Ma i racconti sono nati non per essere considerati un tutt’uno, ma ognuno a sé. Infatti, spesso chi li legge uno di seguito all’altro è portato a fare confronti che spesso compromettono il giudizio. Per questo preferisco recensirli singolarmente e invitare a leggerli in periodi diversi.
Se Neve mi ha entusiasmato (qui la recensione), Il violino nero mi ha rapito. La storia di questo compositore che fin da piccolissimo ha in animo la musica è già di per sé molto bella. Ma ciò che fornisce vigore al racconto è la storia nella storia, ovvero la narrazione di come un liutaio abbia creato un violino speciale in nome del suo amore per una donna. L’ambientazione veneziana a cavallo tra il Diciottesimo e il Diciannovesimo secolo crea una suggestione unica. Come sempre anche qui Fermine cosparge il racconto di saggezza, frasi filosofiche e motti a cui è difficile non aderire. Il resto lo fa la scrittura che sembra una prosa poeticizzata. Davveo difficile parlarne senza averlo letto.
Consigliato agli animi poetici e agli amanti della musica.