Il capo del nostro piccolo gregge disse: “Andiamo a scuola”.
Una bambina piangeva: “Perché picchiano quelle persone?”. I due poveretti intanto, pesti e malconci, supplicavano gli aggressori di non consegnali alla Gestapo.
A un tratto uno dei picchiatori ci gridò: “Forza, ragazzi, se siete dei bravi nazionalsocialisti dateci una mano!”. I suoi camerati gli fecero eco in un coro di incitamenti.
Non so dire di preciso come accadde, quello che so è che fummo attraversati da una specie di scarica elettrica, come se un’aggressività primordiale, un odio contagioso si fossero risvegliati in noi.
Ci gettammo in massa sui due disgraziati, sferrando calci e pugni. Qualcuno gli sputava addosso, altri calpestavano le mani delle vittime inermi sulla terra battuta. Io mi chinai sulla donna e le tirai i capelli. Tirai forte e gridai: “Brutta ebrea!”. Lei mi guardò, spaventata e sgomenta. Non dimenticherò mai quello sguardo.
La testa della poveretta giaceva in una buina di vacca che le aveva insudiciato e incrostato i capelli, ma per lei non provai né compassione, né pietà.
Naturalmente qualcuno aveva avvisato la Gestapo, che arrivò con un cellulare che mi parve gigantesco, e in cui avrebbero potuto trovare posto non due ma cinquanta ebrei. Con un vociare isterico saltarono giù cinque o sei SS, insieme a un’orda di cani ringhiosi.
Tratto da Lasciami andare madre
di Helga Schneider