Il 26 aprile del 1986 avveniva il disastro di Černobyl’, incidente nucleare che per la mia generazione ha rappresentato la concretizzazione delle paure fino ad allora udite solo come racconti. Avevo 15 anni, ma ricordo lo sgomento delle notizie sentite ai telegiornali e il divieto di consumare latte e verdure a foglia larga. Ma questa non era certo una tragedia. La vera tragedia si stava consumando altrove.
TRAMA: attraverso una serie di interviste e di ricerche, l’autrice ha raccolto l’esperienza di chi il disastro nucleare di Černobyl’ l’ha vissuto da vicino: le persone che abitavano nei pressi della centrale, i pompieri che sono accorsi quasi ignari a ridosso delle fonti radioattive, i loro partner e figli. Il sentimento umano di questi protagonisti è descritto con estrema abilità, tanto da arrivare a far male al lettore nel profondo, rendendo non semplice questa lettura.
COMMENTI: il libro è splendido, ma è anche un vero e proprio pugno nello stomaco. La sua profondità rispecchia l’abilità della scrittrice, originaria essa stessa della Bielorussia, dov’è accaduto il disastro, e quindi in grado di dare voce con estrema empatia a sentimenti che appaiono inenarrabili. La mancanza di speranza, e l’ostinazione con cui la si cerca sono incredibili e incomprensibili laddove le radiazioni hanno spazzato via tutto, lasciando l’invisibile atmosfera inquinata a mietere vittime nel tempo.
L’AUTRICE: insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 2015, Svetlana Aleksievič è nata il 31 maggio del 1948. Scrittrice di libri, ma soprattutto giornalista d’inchiesta, è stata costretta a vivere a lungo lontano dalla patria perché accusata di essere una spia della CIA. I suoi libri parlano sempre di argomenti difficili, come i suicidi seguiti allo scioglimento dell’URSS, la guerra in Afghanistan e il valore misconosciuto delle donne russe durante i combattimenti della Seconda Guerra Mondiale.