La furia iconoclasta che sta attraversando gli Stati Uniti, e che in Italia è stata goffamente imitata con l’imbrattamento della statua di Montanelli, mi lascia perplesso. Nel primo caso, posso comprendere l’ira degli afroamericani, ma rimanendo un po’ basito dalle iniziative politically correct come la sospensione dal palinsesto della HBO di Via col vento o l’idea di riservare la stessa sorte al telefilm Hazzard o, ancora, di togliere dalle mani di Taddeo, nemico di Bags Banny, il fucile: davvero solo oggi si sono accorti del significato della relazione di sudditanza tra Rossella e Mamy, della bandiera dei confederati sul tetto della loro auto e della presenza di un fucile necessario per dare la caccia a una lepre? Rispetto all’imbrattamento della statua di Montanelli l’idea non è diversa: solo adesso diventiamo consapevoli che il celebre giornalista, come al tempo molti altri da colonialisti quali erano, ha avuto in sposa una bambina? Il video in questione risale a un’intervista del 1969 e gira in rete da tempo. Quando mi fu mostrato la prima volta, più che stupirmi per le dichiarazioni di Montanelli (anche se la delusione non fu poca) fu il dibattito con la giovane giornalista che mi sorprese. Non eravamo ancora negli anni Settanta e una giovane donna (aveva 26 anni) riusciva a tenere testa a uno dei giornalisti più noti del tempo. Il suo nome era Elvira Banotti (qui), femminista preparata, ma spesso scomoda. Nonostante ciò, fu capace di ciò che sembra oggi scomparso: dibattere dopo essersi preparati. L’imbrattamento di una statua è semplice ed efficace, arriva immediatamente come messaggio. Ma quanta riflessione ci permette? E perché proprio adesso questa furia? Dov’è l’analisi sul turismo sessuale minorile che parte dall’Italia e le modalità di combatterlo? Il passato non possiamo cambiarlo, ma il presente e il futuro sì.
Se vogliamo solidarizzare con gli afroamericani, anziché scimmiottarli, consiglio la lettura di un libro che mi sta rendendo maggiormente consapevole e in grado di rispondere a coloro che mi chiedono se la reazione negli Stati Uniti non sia esagerata. Il libro in questione è Il diritto di opporsi di Bryan Stevenson, autobiografia di un giovane avvocato che presta il proprio servizio in favore degli afroamericani imprigionati nel braccio della morte in attesa dell’esecuzione. Oltre la storia, e le varie storie narrate, ci sono un’infinità di dati documentati che parlano dell’ingiustizia verso i neri e i più fragili in genere, dell’escalation delle armi, e del giustizialismo inutile e dannoso. Prima di questa lettura mai avrei immaginato che la situazione fosse così grave. Solo ora capisco come sia possibile che il Trump di turno venga eletto.
Sono stato troppo pesante in questo mio post? Forse sì. Ma l’invito è sempre lo stesso: leggete e documentatevi perché è con i libri e le idee che essi generano il modo migliore per imbrattare le statue dell’orrore e dell’ingiustizia sociale.