La notizia della laurea ottenuta dal premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, giovane attivista pakistana che subì un grave attentato per la sua campagna di sensibilizzazione a favore dell’istruzione e contro i regimi che opprimono la sua terra, lascia sconcertati. Sconcertati innanzitutto perché sembra impossibile che sia già passato tanto tempo dal terribile attentato di cui è stata vittima. Sarà forse perché continuano ad accadere tante brutture nel mondo che sembra non ci sia mai uno spazio di tranquillità. Sconcertati perché una volta tanto un sogno si è realizzato. E non il sogno di essere attrice, modella o influencer, ma di studiare e ottenere un titolo che permetta di cambiare un pezzo di mondo. Crediamo sempre meno nel valore dello studio perché pensiamo alla professione a cui potrebbe prepararci, scoprendo in seguito che non è poi così semplice raggiungere il posto di lavoro che desidereremmo. Ma Malala ci insegna una cosa diversa: studiare significa cambiare le menti. Cambiare la propria per imparare a cambiare quella degli altri. Banale? Certamente sì. Ma se lo slogan “Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. Sono le armi più potenti” hanno indotto gli estremisti a tentare di ucciderla, forse tanto banale la cosa non è. Il problema vero è che nei paesi occidentali sta svanendo l’idea del sogno. Da Martin Luther King jr. diceva “I have a dream” siamo giunti a George Floyd che implora “I can’t breathe”. Eppure la strada della conoscenza non ha eguali. Studiare, leggere, pensare: sono ancora gli strumenti indispensabili per sperare in un cambiamento, per sperare in un sogno. Malala ce lo insegna: continuando tenacemente si può arrivare dove si vuole.