Sfugge qualcosa nella narrazione della vicenda dell’omicidio di Willy Monteiro, il giovane ucciso a Colleferro da quattro degeneri. Ci sono parole che vengono ripetute: razzismo, violenza, morte. E frasi che somigliano a tante altre utilizzate in casi simili: “italiano di origini capoverdiane”, “era un bravo ragazzo”, “tutti sapevano che erano violenti”. La morte è unica, intima, personale, ma il copione che si sta svolgendo è sempre lo stesso. Ci mancava l’affermazione giunta da La Repubblica di un familiare dei ragazzi che ha detto: “era solo un immigrato”. Naturalmente la politica è silenziosa o equivoca per evitare fraintendimenti. A destra non si vuole condannare troppo apertamente la xenofobia e a sinistra ci si limita al solito inno all’accoglienza. Il problema è che ci sono parole che non si vogliono pronunciare in casi come questi. La più importante è patria. Apparentemente può apparire anacronistica, ma solo apparentemente.
Lo Zingarelli definisce in questo modo la parola PATRIA: dal latino (tĕrram) pătria(m) s. f. Paese comune ai componenti di una nazione, cui essi si sentono legati come individui e come collettività, sia per nascita sia per motivi storici, culturali, affettivi e simili.
Willy era nato in Italia, cresciuto con i nostri figli e diventato un uomo che ha superato il coraggio di molti, rimettendoci la vita. Si è messo in mezzo a una rissa per sedarla. Molti che non sono di origine capoverdiana e vantano un pedigree italiano al cento per cento non l’avrebbero mai fatto. Patria non è solo la terra dei padri. Patria è prima di tutto la terra dei loro valori. E Willy rappresenta quel tipo di valori che rende fieri di essere italiani. E’ Willy l’italica patria a cui mi sento di appartenere. Sono tutti i bravi ragazzi come lui che ogni genitore dal pedigree italiano come me desidera diventino i propri figli. Sono loro che stanno combattendo per il sacro suolo della nazione, persone come Willy che desiderava vivere nella provincia della capitale d’Italia in armonia e rispetto. Ogni giorno questi giovani uomini cercano di costruire nella quotidianità un luogo migliore per tutti. Ed è questo l’unica battaglia che vale la pena di essere combattuta per la nostra patria.
Quando ci viene voglia di reclamare la nostra italianità; ogni volta che esaltiamo il tricolore; in tutte le ricorrenze nazionali in cui ci si mette la mano al petto e si canta l’inno nazionale (incluse le partite di calcio), ricordiamoci bene una cosa: per chiamare un suolo Patria, prima di esserci nati bisogna esserne degni.