Più volte mi trovo a spiegare che la bibioterapia non deve essere intesa come una forma di cura medica, soprattutto se al di fuori di setting clinici. Gli antichi lo sapevano e la
letteratura, lungo tutta la sua storia, lo ha dimostrato.
Questa sera concluderò il primo ciclo di incontri Il club di Jane Austen parlando dell’Abbazia di Northanger, libro poco conosciuto, ma degno dell’autrice.
Mi ha colpito una parte in cui la madre della protagonista è convinta che la figlia non stia più bene nella propria casa a causa delle vacanze passate in case ben più signorili e la invita
a superare questo ostacolo con la lettura e dice:
“C’è un saggio in uno dei libri che stanno di sopra: è molto interessante e tratta proprio di questo argomento, ovvero di fanciulle che si sono disamorate della propria casa a causa di
conoscenze troppo altolocate.,”The Mirror”, mi pare. Te lo cercherò un giorno o l’altro, perché sono certa che ti farà bene leggerlo“. Nello stesso libro ci sono altri punti in cui la
Austen ne parla, ma qui parla del “far bene” in un’accezione che riguarda il tornare ad avere un equilibrio e un benessere.
Non c’è da stupirsi: Jane Austen cercava nelle letture conforto oltreché conoscenza. Nella scrittura certamente riusciva a riversare la propria creatività, superando le difficoltà della
vita utilizzando un metodo biografico traslato nell’invenzione romanzesca.
C’è chi mi ha accusato di presentare un Club di Jane Austen senza competenze perché sono un uomo: è esattamente ciò che accade in tanti settori in cui questo pensiero si compie
a danno delle donne. Da parte mia, rido: con i libri e la mia biblioterapia discuto di africani, giapponesi e americani; ragiono sull’omosessualità, la transessualità e le differenze di
genere; mi piace cercare risposte tra le pagine dei libri riguardo gli assassini, i folli e gli innamorati. Devo essere tutto questo per farlo? Certo, e i libri mi hanno insegnato a esserlo.
Per fortuna!