Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 Dante Alighieri moriva a Ravenna. Aveva 56 anni e contrasse la malaria passando per le Valli di Comacchio, malsane e paludose. Fu una morte inaspettata che lo raggiunse ben prima di completare “il cammin di nostra vita”.
I suoi funerali furono solenni e alla presenza dei figli. Non era un uomo qualunque, anche se dopo poco il suo nome sbiadì nella memoria di un’Italia smembrata e sempre in lotta. Ma qualcuno trovò il modo riportarlo in auge,
La prima diffusione del mito
Quel qualcuno fu Giovanni Boccaccio, grazie al suo Trattatello in laude di Dante. Si tratta di una delle prime biografie di letterati elaborate attraverso fonti dirette e indirette. Boccaccio, infatti, raccolse le notizie necessarie intervistando coloro che lo avevano conosciuto in vita. Non dimentichiamo che quando Dante morì, Boccaccio aveva solo otto anni e non poté conoscerlo di persona. Il mito però lo raggiunse con tutta la sua aura di poeta impegnato civilmente e politicamente. Questo per Boccaccio era fondamentale riconoscerlo e diffonderne l’importanza.
Il Trattatello ebbe diverse versioni: la prima risale al 1351 mentre l’ultima al 1366.
Il valore della lingua
Stiamo parlando dei Padri della lingua italiana, la Volgar lingua, che noi studiamo a scuola talvolta con noia, ma che per loro fu una vera e propria missione, spessa intrisa di contraddizioni, ma che portò alla nascita dell’idioma che ancora oggi utilizziamo. Il miracolo della Commedia è che noi riusciamo a leggerla, come tutti gli scritti in italiano antico, potendo comprenderne la maggior parte del significato, cosa impensabile per la maggior parte delle lingue europee riguardo la letteratura di quegli anni.
Il mistero dei resti mortali
Un aspetto poco conosciuto dei resti mortali di Dante è la loro conservazione. Deposto in un’urna di marmo posizionata all’esterno della Chiesa di San Francesco a Ravenna subito dopo i funerali, negli anni successivi, e per secoli, Firenze reclamò il trasferimento delle esequie. Ma i ravennati erano assolutamente contrari: Firenze non lo meritava. Fu così che per contrastare la possibilità, tutt’altro che remota, che i resti fossero trafugati, i frati francescani decisero di toglierli dall’urna e nasconderli.
Proprio in occasione del settecentenario, l’Archivio di Stato di Roma ha reso disponibile (qui) due documenti che riguardano il ritrovamento dei resti e il loro riconoscimento avvenuti solamente il 27 maggio del 1865.
È stato certamente un caso, ma sta di fatto che i resti mortali del Poeta furono riportati alla luce e deposti nella cripta a Ravenna, dove giacciono tuttora, quando l’Italia era stata fatta, unita politicamente dal 1861. Era il periodo in cui serviva “fare gli italiani” per creare una nazione e questo avvenne anche attraverso la Volgar lingua da lui diffusa. C’è da dire che Dante non pensava a un’Italia unita, ma forse a un’Europa unita sì, dato che l’ideale politico inseguito nel periodo dell’esilio fu la riunificazione sotto l’Impero.
Per approfondire
In questo settecentenario le pubblicazioni su Dante si sono moltiplicate a dismisura. Io preferisco restare fedele al lavoro di Marco Santagata che nel suo Dante. Il romanzo di una vita porta all’attenzione del lettore, con perizia e bella scrittura, (si tratta di un trattato, non di una finzione letteraria) i particolari dell’esistenza del Sommo Poeta, inclusa la nascita delle sue opere.
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