Il 4 gennaio ho iniziato l’anno tenendo il laboratorio di Vaffanculoterapia. Sta diventando una tradizione, è stato il primo incontro che ho programmato anche all’inizio del 2021 e credo che continuerò a organizzarlo in questo periodo dell’anno. Ma cosa significa partecipare a un laboratorio di Vaffanculoterapia, ovvero utilizzare la biblioterapia su un argomento così particolare?
Un’osservazione amplificata
Premetto che per ottenere dei risultati più profondi e rilevabili con la biblioterapia è necessario partecipare a una serie di incontri. Ma anche un singolo incontro ha la sua efficacia. Il primo risultato è la possibilità di imparare a osservare un argomento da un punto di vista non considerato prima. La biblioterapia offre dei testi letterari che permettono di prendere in considerazione l’oggetto dell’osservazione da angolature differenti perché ciò che l’autore esprime nel testo è diverso da quello a cui siamo abituati. Non solo. Utilizzando testi vari, abbiamo la possibilità di prendere in considerazioni altri punti di vista ancora. Il laboratorio diventa in questo modo un vero e proprio osservatorio, una specie di cannocchiale che ci permette di vedere quello che prima non riuscivamo a vedere.
I testi che ho portato alla Vaffanculoterapia hanno permesso di guardare al desiderio e al bisogno di esprimere il dissenso, alla necessità di sfogarci, ma limitando i danni.
Compagni di viaggio
Un altro aspetto interessante del laboratorio di Vaffanculoterapia è stata la condivisione del proprio punto di vista. Chi partecipa ai laboratori trova un grande contributo nell’ascoltare il punto di vista altrui. Ragionare insieme su una questione più o meno problematica risveglia in noi nuove possibilità. E quando queste nuove possibilità sono stimolate dalla viva voce di qualcuno a cui è possibile porre domande chiarificatrici, questo rende il processo molto più arricchente. Quando mai si può chiedere a una persona perché manda affanculo così facilmente gli altri oppure, al contrario, perché ha così tante difficoltà?
L’ambiente che si crea nei laboratori di biblioterapia è difficile da ricreare in altri contesti perché lo stimolo che viene dai testi difficilmente arriva da altre fonti. Ho utilizzato nel laboratorio di Vaffanculoterapia un brano tratto da Strane creature di Tracy Chevalier. Siamo nell’Ottocento e una donna, irritata con un uomo supponente e misogino, cerca di imprecare contro di lui, ma non vi riesce completamente e si trova a essere osservata da tutti come una donna strana e da evitare. Le riflessioni possibili in un laboratorio vanno oltre il quotidiano vivere di noi persone del ventunesimo secolo. È questo il punto di vista privilegiato di cui parlo e che può arricchirci davvero molto. Parlando della protagonista del libro riusciamo ad arrivare a parlare di noi in un modo tutto nuovo e speciale.
Lo spostamento del punto di vista
Rispetto a un gruppo di lettura, in un laboratorio di biblioterapia si utilizzano spesso testi diversi tra loro. Non solo. Anche la riflessione si sposta in modo molto più veloce. Questo avviene grazie al ruolo del facilitatore biblioterapista che provvede a seguire allo stesso tempo il flusso dei testi dell’argomento previsto e gli stimoli che provengono dai membri del gruppo, che possono portarlo altrove. Testi diversi offrono suggestioni differenti e quando qualcuno chiede spiegazioni spesso sono altri testi ancora a fornire le risposte. Questo permette una grande personalizzazione delle dinamiche che vengono a crearsi. In questo modo, la soddisfazione personale che ognuno sente viene esaltata. Tutti devono trovare le proprie risposte. Anzi, ognuno deve trovare le proprie domande. I libri forniscono splendidi quesiti che rimangono con noi e allargano i nostri orizzonti. E a ogni risposta seguono altre domande, che arricchiscono ulteriormente ogni membro del gruppo, incluso il facilitatore.
Se mandiamo affanculo chi amiamo
Nel laboratorio di Vaffanculoterapia siamo riusciti a ragionare sulla difficoltà, o per alcuni l’estrema facilità, di mandare affanculo le persone che amiamo: fratelli, genitori, partner, cognati. Il terreno su cui ci siamo spinti non è semplice da esplorare perché mettere di mezzo gli affetti non è cosa da tutti i giorni. Anche questo è un aspetto della biblioterapia molto interessante. È molto difficile parlare con oggettività e, soprattutto, con libertà dei legami familiari. Nei laboratori di biblioterapia questo è possibile e auspicabile. Condividere certe opinioni può essere liberatorio. Quello che solitamente non possiamo condividere diventa facilmente esprimibile. La complicità che si crea nel laboratorio permette un senso di fiducia e un benessere che si rivela così forte da superare ogni perplessità. Nei laboratori nessuno è costretto a parlare. È un desiderio spontaneo perché si sente che questa condivisione fa star bene.
Descrivere ciò che accade in un laboratorio di biblioterapia è sempre difficile, bisogna provarlo. Dopo dieci anni di sola attività in presenza, da due anni a questa parte sto lavorando soprattutto online e devo dire che, con mia sorpresa, ho scoperto che non sono così diverse le dinamiche che si vengono a creare. Manca il prepararsi per uscire, l’incontro con i riti dell’inizio, le chiacchiere dopo aver terminato. Ma tutto il resto c’è. E non è male accendere il computer e ritrovarsi in compagnia per un’esperienza emotivamente e intellettualmente appagante, dove sentirsi compresi e capire nuove cose. Perché a qualsiasi età e in qualsiasi condizione ci si trova, scoprire nuovi libri, inediti punti di vista, nuove risposte e altrettante nuove domande è un modo per rinnovarsi e rigenerarsi per affrontare sempre meglio la realtà.
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