In questo periodo, mi sto interessando alle possibilità di applicazione della biblioterapia in ambiti di forte svantaggio cognitivo e comunicativo e ho incontrato la Comunicazione Aumentativa Alternativa come strumento utilizzabile. Voglio quindi condividere con voi alcune riflessioni in merito.
La CCA: di cosa si tratta
CCA è l’acronimo di Comunicazione Aumentativa Alternativa. Si tratta di un approccio comunicativo destinato a quelle situazioni per cui un normale dialogo non è possibile. Le condizioni per cui non è attuabile una normale forma di comunicazione possono essere temporanee o permanenti. Pensiamo a un intervento di laringectomia o ictus con afasia (incapacità di parlare) per fare due esempi di condizione temporanea. Immaginiamo i disturbi cognitivi gravi, l’autismo a bassa funzionalità, ma anche la sclerosi multipla o la distrofia muscolare nelle fasi più gravi come esempi di condizione permanente.
Come funziona
Partiamo dal presupposto che quello della CAA è un campo molto ampio e gli strumenti possono essere davvero tanti. Se riduciamo la questione ai libri, ci sono pubblicazioni che sono scritti con linguaggi codificati di CAA, ovvero simboli che sostituiscono il testo, mantenendo il significato.
Nella CAA in generale, i simboli si distinguono in PCS (Picture Communication Symbols), WLS (Widgit Literacy Symbols) e BLISS. Sono tre sistemi con modalità applicative diverse che vanno scelti a seconda delle caratteristiche della persona che deve utilizzarli e della facilità d’uso. Tra questi simboli ci possono essere anche parti complesse della frase come gli articoli, che spesso tendiamo a togliere spontaneamente durante una conversazione con chi fatica a comunicare. La CAA non deve essere considerato un metodo per bambini basato su immagini perché è molto più complesso e articolato.
Nell’ambito della biblioterapia non ci si può limitare a considerare la questione del libro (e comunque, come detto, esistono anche libri in CAA). Se la lettura è alla base e il libro è uno strumento, la comunicazione successiva è altrettanto importante. Poter includere nella discussione sulla lettura chi ha difficoltà ad esprimersi attraverso la CAA significa creare un’occasione comunicativa e includere in un processo di gruppo chi, senza tale strumento, rimarrebbe escluso.
Il bisogno di comunicare
Ogni persona ha bisogno di comunicare con gli altri. Non è un lusso: è una necessità. Per farlo, è serve potersi esprimere, essere capiti, ricevere risposte e poter ribattere. Per chi ha difficoltà a comunicare, spesso questo bisogno di comunicare viene disatteso e diventa frustrante. Se non si viene capiti, si viene esclusi inevitabilmente dalla discussione. La CAA tiene conto delle capacità comunicative del soggetto, composte dalla mimica, dai suoni contenenti significato a sua disposizione e altre abilità che la persona possiede, per poi aggiungere strumenti aggiuntivi, come il segno grafico in cui sono scritti i libri in CAA e le tabelle con cui comunicare.
Non si tratta di un processo semplice, ma di una competenza che va imparata e allenata. Immaginate quanto potrebbe essere potente per una persona che ha difficoltà comunicative entrare in un gruppo di biblioterapia e poter dialogare riguardo un libro. Gli obiettivi raggiungibili in questo caso sarebbero doppi: da una parte nascerebbe l’occasione comunicativa, dall’altra l’opportunità di entrare nella dimensione emozionale del setting di biblioterapia, oltre che poter vivere una dimensione di gruppo.
Chi, come, quando
Non credo che sia facile utilizzare questo strumento e non credo che trasferirlo in un setting di biblioterapia sia semplice. Sono comunque convinto che ci siano ambiti in cui si possono davvero realizzare laboratori attivi ed efficienti. Potrebbero nascere in centri riabilitativi, occupazionali e residenziali, ma anche in laboratori comuni. Penso ai cosiddetti “non verbali”, che hanno capacità cognitive buone, e a come potrebbero trovare una nuova dimensione espressiva. Se per tutti è frustrante non comunicare, per loro deve esserlo ancora di più. Pensare di poter coinvolgere soggetti di questo tipo in un laboratorio, mi entusiasma perché credo sia una strada nuova percorribile.
Offrire il potere dei libri a chi ha più difficoltà mi sembra non solo democratico, ma soprattutto giusto.
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