Ci sono due aspetti da tenere in considerazione nella biblioterapia: l’aspetto cognitivo e l’aspetto emotivo. I due aspetti sono intersecati l’uno all’altro. Ma mentre il primo è analizzabile e gestibile con strumenti di vario tipo, il secondo è più sfuggente. Eppure le emozioni sono alla base della biblioterapia. C’è un libro estremamente interessante che ne parla dal titolo La biblioteca delle emozioni di Carola Barbero. Si tratta di un testo che ricalca alcuni processi insiti nella biblioterapia, soprattutto quando si considerano i libri come una palestra in cui allenarsi senza il timore di rimanere danneggiati. Descrive dei veri e propri laboratori che il lettore può vivere in autonomia, se aggiunge alla lettura del manuale anche i libri indicati. Se questo libro può essere utile a chiunque, per chi si occupa di biblioterapia può essere un interessante lettura di studio da cui trarre ispirazione e non poche nozioni.
Emozioni positive e negative
Le emozioni in biblioterapia non sono solo quelle piacevoli o quelle sgradevoli. Ci sono anche quelle “sbagliate”. Le analisi che si possono fare con i libri, e quindi all’interno dei laboratori di biblioterapia, riguardano anche tutto ciò che ci appare negativo. Pensiamo all’adulterio. Pensiamo all’odio. Pensiamo all’invidia. Sono sentimenti eticamente discutibili. In un libro si trovano tutti, descritti e amplificati. Il lettore li osserva e può identificarsi senza il timore del giudizio. Ugualmente, in un laboratorio di biblioterapia può lavorare con gli stessi strumenti, ma con maggiore impatto che con i soli libri. Sono diverse le scelte che può compiere in questo setting. Ad esempio, può decidere di non esporsi pubblicamente al processo di identificazione. Il laboratorio, in ogni caso non giudicante, permetterà tutta una serie di analisi e discussioni che lo porteranno a capire meglio quel suo sentimento e tutto ciò che lo riguarda.
L’assenza di giudizio
Eliminare il giudizio in un laboratorio di biblioterapia è il primo compito di ogni facilitatore biblioterapista. Più il laboratorio entra in un setting di persone con difficoltà, penso alla popolazione carceraria, ma anche semplicemente a giovani con disagio sociale, più è necessario lasciare che il libro diventi un terreno neutro. Se il laboratorio è un luogo di discussione, la lettura personale successiva diventa un campo autonomo che sviluppa tutta una serie di riflessioni individuali molto profonde. Normalmente, io lavoro con testi presi da diversi libri, lasciando poi ai partecipanti decidere se leggerli per intero in seguito. Ciò permette, a chi sceglie di proseguire con la lettura, di trovare connessioni con quello che hanno discusso in aula. Una delle potenzialità della biblioterapia è questa: non solo efficace durante lo svolgimento dell’interazione di gruppo, ma anche successivamente, grazie alle riflessioni personali e all’eventuale lettura dell’intero testo.
Letture sulle emozioni discutibili
Ai lettori non stupisce entrare attraverso i romanzi in dimensioni discutibili. Il piacere della lettura nasce anche dal fatto che qualsiasi situazione può essere vissuta attraverso la finzione. Ma quando si tratta di determinati sentimenti o specifiche situazioni, le emozioni diventano protagoniste. È da poco passato il Giorno della memoria e sarete d’accordo con me nel dire che leggere romanzi sulla Shoah sommuove una serie di emozioni particolari. È molto facile identificarsi con le vittime, molto meno con i carnefici. Talvolta diventa davvero complicato. C’è un libro su tutti che mi ha colpito per la possibilità di osservare due lati della stessa medaglia. Si intitola Lasciami andare madre di Helga Schneider. La madre della protagonista si è arruolata volontariamente nella Gestapo, abbandonando marito e figli. Una volta adulta, la figlia ritrova la madre anziana, convinta di aver fatto la scelta giusta. La storia è vera e riguarda l’autrice.
Un brano di questo libro l’ho utilizzato in un laboratorio, dove tutti condannavano la madre. Mi domando che effetto avrebbe avuto su persone vicine nel pensiero di quella madre: avrebbero visto la sofferenza della figlia? Il rimorso sarebbe sorto in loro? Ho nella mia libreria un testo in attesa di essere letto dal titolo I volenterosi carnefici di Hitler di Daniel Jonah Goldhagen. Qualcuno potrà dire: ma persone che hanno commesso certe atrocità non saranno certo interessate ai libri. E, invece, non è così. Molti gerarchi nazisti furono estimatori della letteratura e spesso erano persone molto colte. Non facciamo l’errore di pensare che essere colti equivalga automaticamente a essere buone persone. I libri sono un potente mezzo, ma lo possono essere nel bene e anche nel male.
Un esempio che possiamo fare, e che ci è molto più vicino, può essere quello che riguarda il razzismo. Mi è capitato in un laboratorio di parlarne e di trovare un partecipante con idee razziste. Quando ha manifestato il suo pensiero, dopo un primo tentativo di discussione, ho dichiarato apertamente l’impossibilità di legittimare un tale pensiero. A quel punto lui si è fermato. Io non l’ho espulso dal gruppo, né l’ho colpevolizzato oltre quello che avevo già fatto, ma ho cercato di trovare elementi di riflessione che potessero in qualche modo indurlo a vedere le cose da un altro punto di vista. Sono consapevole che certe convinzioni molto difficilmente cambiano. Tuttavia, non posso escludere che qualche cosa sia entrato in lui attraverso i testi e le discussioni.
Per concludere
Lo so, sono un idealista. Eppure rimango della convinzione che i libri possano davvero scuotere, anche i più duri. Certo, non fanno miracoli, ma come biblioterapista mi sento di tentare. Quando si lavora con le persone in un ambito di crescita personale, non possiamo credere che esista in loro solo un aspetto positivo da coltivare. Talvolta, possono esserci pensieri negativi da arginare. Ognuno di noi ha un lato oscuro. I miei esempi sono senz’altro estremi, ma se guardiamo a noi stessi, chi non è mai stato invidioso oppure non ha mai odiato qualcuno? Anche affrontare questo lato del proprio essere, anziché soffocarlo, significa crescere.
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