Comunicazione di guerra

Parlare di guerra attraverso i libri

Difficile in questi giorni parlare di cose diverse dalla guerra in corso nel cuore dell’Europa. Capire come i libri possono aiutarci a comprendere i conflitti, per quanto incomprensibili, sarà l’argomento di cui oggi mi sento di condividere con voi.

L’INFORMAZIONE COME ARMA DI GUERRA

Come tutti noi, anch’io sono stato preso dalla sete di informazione sull’andamento della guerra in Ucraina. Confesso l’ammirazione per i giornalisti sul campo, che in questo momento stanno facendo un lavoro incredibile e prezioso. Ma se noi siamo spettatori con tutta una serie di strumenti a disposizione, desiderosi di sapere, esiste un’informazione guidata per incidere sull’andamento della guerra. Se da una parte al popolo russo viene narrata una guerra in cui la Russia è parte lesa e i cattivi sono coloro che li hanno costretti a reagire, dall’altra c’è il tentativo di far arrivare informazioni alla popolazione ucraina per demoralizzarli e fargli credere di essere dalla parte sbagliata. Ovviamente tutto questo da parte della Russia. Oggi ci sono i social, che in questo momento sono ancora attivi, e per questo a una dichiarazione dei russi, segue un video del presidente ucraino che informa il suo popolo e ristabilisce l’equilibrio dell’informazione. Ma non è sempre stato così.

LE PAROLE SONO ARMI

In un interessante libro dal titolo Anche le parole sono armi scritto da Federica Formiga, con cui collaboro all’Università di Verona, spiega come la propaganda utilizzata durante la Grande Guerra sia stata studiata e diffusa con l’intento di condizionare l’andamento del conflitto. È interessante notare come l’informazione di allora utilizzasse i mezzi a disposizione, con caratteristiche specifiche che oggi ci sembrano obsolete, ma che a quel tempo avevano una loro efficacia e si sono dimostrate influenti. Se in quel primo Novecento la direzione dell’informazione era unica, oggi stiamo assistendo a qualcosa di diverso. All’offensiva informativa, vediamo realizzata una controinformazione difensiva, con possibilità di ottenere ulteriori notizie dai media esteri e condividere con le chat la condizione di civili e militari nella stessa condizione.

LA GUERRA IN CASA NOSTRA

Oltre all’informazione, c’è la letteratura, e quella di guerra nasce soprattutto laddove la guerra è stata combattuta. Seppure tendiamo a dimenticarcene, anche in Italia questo è avvenuto. Con il neorealismo, dopo la guerra si è sviluppata una ricca letteratura della resistenza in cui veniva testimoniata la lotta contro il  nazi-fascismo in chiave umana. Se i libri di storia riportano rapporti diplomatici, battaglie, vittorie e sconfitte, la letteratura entra nella sfera personale di chi ha vissuto nel bene e nel male un periodo difficile, faticoso da descrivere a parole. La letteratura fornisce punti di vista differenti. Se Primo Levi ci ha donato la testimonianza di internato nei campi di concentramento, Fenoglio, Pavese, Viganò, Meneghello, Calvino, Pasolini e altri ancora ci hanno parlato della condizione dei partigiani e dei soldati che si sono trovati nella condizione di dover decidere dove schierarsi.

LA LETTERATURA DI GUERRA OGGI

Se la Seconda Guerra Mondiale ha creato un tassello importante della letteratura italiana, la descrizione dei conflitti è continuato fino a oggi, ed è destinata a proseguire. La guerra in Vietman, nell’ex-Jugoslavia, in Afghanistan, in Iraq, in Siria solo per citare le più note, sono state e sono raccontate attraverso la letteratura. Rumiz, Power, Strada e altri sono diventati i nuovi rappresentanti dell’espressione letteraria dell’esperienza di guerra vista non da chi l’ha combattuta (o non sempre e non in modo convenzionalmente inteso), ma da persone che avevano un punto di osservazione privilegiato: giornalisti, medici, scrittori.

LA SPERANZA NON DEVE MORIRE

Dato che la storia e la letteratura ci dimostrano che l’uomo non impara dai propri errori, diamo tristemente ragione a Giambattista Vico, aggrappandoci però alla speranza che qualcosa può comunque cambiare, anche in Ucraina, anche negli altri Paesi che ancora si trovano appestati dal virus della guerra e dell’odio. Non c’è futuro senza speranza. Dobbiamo e vogliamo crederci ancora.

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