Cercando materiale sulla biblioterapia, mi sono imbattuto in un vecchio articolo (qui) in cui una bibliotecaria parla dell’utilità della biblioterapia per i bambini contrapponendola al cattivo utilizzo che spesso se ne fa.
La falsa idea dei libri come medicina
Spesso, quando parliamo di biblioterapia, pensiamo che a un malanno sia possibile contrapporre un libro. È un’idea fuorviante, che impedisce la diffusione del corretto concetto di biblioterapia. A distorcere tale concetto è la produzione editoriale di libri che mira a vendere libri etichettati come fossero medicine. Questo accade maggiormente con i libri per bambini. Si sprecano i titoli per controllare la rabbia, per gestire le emozioni, per superare un trauma e altro ancora. In questo modo, si è sviluppata l’idea che al momento opportuno sia sufficiente leggere o far leggere al bambino quel testo e tutto si risolva. È il concetto di libri come medicina, efficaci subito che mirano dritti al problema. Ma questa non è biblioterapia e, in alcuni casi, può addirittura essere controproducente.
I rischi della bibioterapia
Frequentemente, ci sono genitori che cercano di aiutare i bambini con un libro quando viene a mancare un nonno. È il primo momento in cui loro figlio sperimenta la sofferenza dovuta a un lutto e sentono di essere in difficoltà nell’aiutarli. Questo esempio è quello dell’articolo che ho letto (qui), in cui la bibliotecaria dice, correttamente, quanto sia inopportuna tale richiesta. Subito dopo la morte di un nonno c’è bisogno di partecipare ai riti per elaborarla, partecipando alle veglie e al funerale, parlando con le persone che l’hanno amato. Piangendo senza che qualcuno dica che non bisogna piangere, ma accolti in un abbraccio. Solo a distanza, quando il dolore acuto lascerà spazio al pensiero sarà possibile introdurre la lettura di un testo per mettere ordine, per accettare, per comprendere. La stessa cosa riguarda anche altri sentimenti. Non dimentichiamo che il libro-medicina non esiste, se non nei manuali di auto-aiuto, in cui si sviluppa un meccanismo cognitivo, che non appartiene alla narrativa. La biblioterapia non offre soluzioni, ma percorsi per crescere e rafforzare le proprie risorse interiori, che diventeranno alleate per trovare un modo per risolvere un problema.
I libri come vaccino
Il fraintendimento riguardo la biblioterapia è pensare che la terapia sia solo quella curativa e da qui nasce il concetto dei libri come medicina. Esiste certamente questo tipo di attività, ma non passa certo per un unico libro che indica la cura. La biblioterapia offre percorsi narrativi in cui le persone crescono, sviluppano il proprio potenziale, sperimentano, protetti, situazioni difficili o le rivivono. Ma accanto alla cura, c’è la prevenzione: perché con i bambini non utilizziamo i libri per prepararli agli inevitabili dolori della vita? Questo è possibile scegliendo libri particolarmente ricchi, capaci di affrontare questioni specifiche, ma non solo. Un libro che parla unicamente della morte non ha senso in biblioterapia. Deve esserci una trama che guarda anche in altre direzioni perché la morte è parte della vita e non si può parlare della morte se non si parla della vita. Allo stesso modo vale per delle particolari emozioni. Se è la rabbia l’emozione in questione, non si può estrapolare da tutto il resto perché significherebbe indicare soluzioni e non offrire una trama grazie alla quale crescere. Stiamo parlando del libro come vaccino, che impone ai genitori e agli educatori di inserire la biblioterapia come forma di medicina preventiva nel piano educativo del proprio bambino.
Biblioterapia e genitori
Il vero problema è che talvolta i genitori non hanno un piano educativo e spesso chiedono aiuto ai libri senza essere amanti dei libri. La biblioterapia ha proprio questo come limite: per essere applicata ha necessità di essere conosciuta, comprendendone l’utilità e l’applicabilità. E questo solitamente lo riconoscono i genitori che sono anche lettori, razza alquanto rara. Di genitori che mi chiedono consigli per rendere il proprio figlio un lettore ne ho incontrati tanti. Sono consapevole: quando gli rispondo che il primo agente stimolatore della lettura è vedere i genitori leggere, loro si scoraggiano. Naturalmente proseguo poi con altri consigli, ma come possono questi genitori capire il concetto di libro-vaccino se non hanno fatto esperienza del libro? Prima di pensare al libro come cura è necessario considerare il piacere della lettura. Chi non ha mai riso e pianto leggendo un libro, non può capire e quindi non può comprendere il senso della biblioterapia. Diventa quindi arduo per i genitori trasferire qualcosa che non conoscono sui propri figli. Ma non disperiamo. Il lavoro che si continua a fare nella promozione della lettura sta intercettando sempre più adulti, che sapranno a loro volta essere di maggior sostegno nel trovare nei libri la giusta risorsa per figli e nipoti. La prima forma di biblioterapia è quella che possiamo applicare a noi stessi, per poi permettere ad altri di conoscere questo grande strumento.
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