Scrittori in plitica

Scrittori in politica

Ci apprestiamo alle elezioni e io non ho nessuna intenzione di iniziare a parlare di politica. I miei principi credo non siano difficili da intuire, ma parlare di partiti è un’altra cosa. Quello che vorrei condividere è il ruolo degli scrittori di libri nel parlamento, partendo da un fatto storicamente accertato: l’intellettuale in politica dopo la nascita della Repubblica Italiana è stato presente senza che nessuno se ne scandalizzasse. Oggi molte cose sono cambiate.

Il primo scrittore nella politica della Repubblica

Il primo da citare tra gli scrittori in politica è Ignazio Silone. Fu membro dell’Assemblea Costituente, appartenente al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Silone fu tra i fondatori, in collaborazione con Antonio Gramsci, del primo Partito Comunista Italiano (PCI) da cui poi si discostò, avvicinandosi al socialismo. Questo distacco gli costò un’ostracismo pesantissimo, che non gli impedì di dichiarare per primo i pericoli dello stalinismo. Partecipare alla creazione della Costituzione Italiana è stato senz’altro un merito non da poco, ma che dire delle sue opere letterarie? Io ho cominciato con Il segreto di Luca, ma è stato con Le avventure di un povero cristiano che me ne sono innamorato.

Gli scrittori a sinistra

Non c’è dubbio che la maggior parte degli scrittori in politica ha militato nel PCI o comunque a sinistra. Nulla di strano. Il comunismo era considerato importante per il ruolo che aveva avuto nella liberazione dell’Italia dal fascismo e quindi riguardava anche la libertà delle idee. Ci sono politici come Natalia Ginzburg, parlamentare tra il 1983 e il 1987, che vide ucciso su marito Leone Ginzburg per le torture subite in carcere, detenuto per la sua militanza aperta da sempre come antifascista: come avrebbe potuto collocarsi diversamente nell’emiciclo?
Leonardo Sciascia, deputato tra il 1979 e il 1983, iniziò la sua carriera politica nel PCI a livello locale, per poi distanziarsi e portare avanti le sue idee con il Partito Radicale e coniando lo slogan “né con il terrorismo né con lo Stato” intendendo ripudiare gli atti di estrema sinistra che culminarono nell’omicidio di Aldo Moro, ma senza sottrarsi al criticare scelte sbagliate dello Stato. Ancora una volta uno scrittore a sinistra, anche se fuori dal PCI.

Da dove viene la divisione degli intellettuali?

Le precisazioni che sto facendo riguardo l’appartenenza politica non sono a caso. C’è una forte spinta a considerare di sinistra l’essere intellettuali e di destra l’essere fieramente non acculturati (cosa preoccupante). La verità è che la letteratura del dopo guerra è partita dalla narrazione, ovviamente mai realizzata prima, sull’azione partigiana, sui patimenti sociali del popolo e sulla spinta dell’ideale comunista come propulsore ad agire verso la libertà. La scissione politica della cultura, d’altronde, non poteva non avvenire dopo il Manifesto degli intellettuali fascisti e la “controfirma” del Manifesto degli intellettuali antifascisti. Se in quei primi anni di regime la cosa assunse il senso di una semplice divisione, dopo la guerra la politica non poteva che essere motivo d’orgoglio soprattutto per gli scrittori con ideali rivolti verso sinistra. Anche Alberto Moravia, che non ebbe particolari meriti nei movimenti partigiani e antifascisti, ma che fu capace di descrivere le contraddizioni che la guerra aveva portato, fu con il PCI che per cinque anni fu deputato del neonato europarlamento. Ma oggi tutto è più difficile: dov’è la destra e la sinistra?

Quanto contano gli scrittori in politica

In tempi recenti destra e sinistra sono diventati concetti non semplici da considerare. Mentre i giovani degli anni Settanta avevano le idee ben chiare, quelli degli anni Ottanta hanno cominciato a vagare nella confusione per perdersi definitivamente negli anni Novanta dopo Tangentopoli. Oggi l’intellettuale in politica è guardato quasi con sospetto, anche perché gli scrittori che si candidano sono ormai un caso raro. Uno degli ultimi è stato Gianrico Carofiglio che però è stato legittimato, agli occhi dell’opinione pubblica, dal suo passato di magistrato.
Oggi la maggior parte degli scrittori rifugge un ruolo diretto in politica. Perché?
Poniamoci una domanda: cosa ci perde la politica senza scrittori tra i suoi parlamentari? Possono portare qualcosa in più o lo scrivere libri è assolutamente indifferente nel fare politica? Difficile rispondere. Certo è che la politica non avviene solo in parlamento e mi piace pensare che quella più autentica avvenga proprio nei libri, scritti da autori che non vogliono più entrare nei palazzi del potere, ma dialogare nella mente di noi lettori.

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