San Valentino

Lo strano giorno che è San Valentino

Per la maggior parte delle persone, san Valentino è la festa degli innamorati. Per me no. O, per meglio dire, non è solo questo. Nel mio paese di origine, Bussolengo, esiste una fiera secolare che si rinnova ogni anno per festeggiare il santo patrono del paese, San Valentino per l’appunto. In suo onore è stato eretto in pieno medioevo un santuario che per me ha un significato particolare: tra quelle mura i miei avi hanno vissuto per secoli e le loro storie stanno scomparendo, mai depositate nelle pagine di un libro.

La fragilità della tradizione orale

Libri su san Valentino nel mio paese non ne sono stati scritti. Esistono eccellenti lavori sulla storia locale che includono il suo santo patrono svolti dalle associazioni culturali, ma nulla più. Negli anni trascorsi, le amministrazioni comunali hanno dato sempre maggiore smalto al santuario, che oggi viene visitato con l’ausilio prezioso di cartelli che ne indicano la storia. Gli affreschi esterni sono stati ristrutturati e sono ben visibili. Ma nella mia mente oggi diventano più vivide le storie di vita vissuta, che mia nonna mi raccontava e che nessuno, salvo pochi della mia famiglia di origine, conosce. Quelle storie si stanno ormai perdendo. La memoria è fragile, è il limite dell’oralità. Siamo propensi a pensare di conoscere tutto del passato: siamo degli illusi. La maggior parte entra nell’oblio e gli storici ne recuperano solo una minima parte. Eppure anche quei pochi brandelli di passato mantengono un fascino incredibile.

La ricerca delle prove dei racconti ascoltati

Circa venticinque anni fa, ho lavorato un anno per ricostruire l’albero genealogico della mia famiglia. Andavo nell’archivio parrocchiale del mio paese e con metodo risalivo alle origini, alla ricerca di nomi via via sempre più sconosciuti. La ricerca non è stata facile, ma quando ho trovato un registro dedicato alle attività del santuario nel periodo della fiera di san Valentino ho sobbalzato. Dentro vi ho trovato la prova che i racconti della nonna erano veri: le tavolate di sacerdoti che si alternavano a dire messa di cui parlava, gli oggetti più belli per imbandire la tavola che descriveva, le preparazioni necessarie per quei giorni frenetici che considerava un lavoraccio. Il registro è stato utilizzato nei decenni e vi si trovano tutti i conteggi delle offerte ricavate, i nomi dei sacerdoti e inventari di vario tipo. C’è anche una poesia. Un sacerdote colto e artistico, chiamato el maestrin, scrisse una poesia che descriveva con allegria la fisionimia e il carattere del sacrestano del santuario. Quel sacrestano era il mio bisnonno.

I luoghi invisibili

La cucina di mia nonna oggi non esiste più, eppure è ancora là. Non c’è libro che ne parla, ma la cosa potrebbe essere descritta per molte pagine perché per secoli quelle mura domestiche hanno visto la storia locale passare. Se volete visitare quel non-luogo, oggi lo potete fare ammirando l’affresco più in vista. Dietro una cancellata c’è un porticato e sulla parete vi è rappresentato un Cristo in croce. Guardate bene quel Cristo e poi abbassate lo sguardo fino a terra. Ecco, pressappoco in quella posizione c’era un focolare. Adesso osservate la cancellata. Al suo posto c’era una parete, successivamente abbattuta. Immaginate ora il desco antico, scaldato dal fuoco di un camino e osservato da un Crocefisso affumicato: quella era la cucina di mia nonna, e della mia bisnonna, e della mia trisavora…

La piccola storia dentro la grande storia

Se entrate nel santuario, vi trovate la riproduzione di un Santo Sepolcro. I fedeli lo osservano da una grata, vedendo statue a grandezza naturale sotto un ampio volto. Pensateci: quante cose avranno visto quei personaggi immobili nel tempo? Una di queste risale ai primi mesi del 1945, quando mia nonna si rifugiò tra quelle statue con la figlia neonata, mia madre, tra le braccia. Il vòlto era considerato sicuro in caso di bombardamento. Ma poteva essere sicuro dalle incursioni dei tedeschi e dei fascisti ancora in circolazione? La nonna stette per lungo tempo dietro la statua di Nicodemo, per confondersi con lui nel caso qualcuno fosse entrato in chiesa. Ed in effetti qualcuno entrò, ma senza cattive intenzioni. E la paura fu sua, perché vedere che la statua di Nicodemo si muoveva tra le ombre e in un luogo sacro non era certo tranquillizzante. Ma in tempo di guerra tra concittadini la solidarietà era tanta e dopo un primo fraintendimento, tutto fu risolto sotto quel cielo che aveva smesso di far piovere bombe.

La fine di una saga familiare

La presenza della famiglia del sacrestano all’interno del santuario di San Valentino a Bussolengo fu possibile fino agli anni sessanta del Novecento. Tra quelle pareti vi abitò anche mia madre con i suoi fratelli fino all’età di diciannove anni. Dopo l’abbandono di quella cucina, la parete fu abbattuta per mostrare a tutti l’affresco, che aveva fatto da sfondo a tanti pranzi e tante cene. È rimasta la fiera paesana a testimoniare quella parte di storia. Una fiera che è cambiata nei secoli per dimensioni e riti. Oggi è irriconoscibile, eppure ha luogo ogni anno e vi accorrono da tutti i paesi circostanti e non solo. Un tempo le persone arrivavano con carri e cavalli per gli scambi commerciali e per rinnovare le attrezzature agricole o per acquistare nuovo bestiame. E mentre gli uomini mercanteggiavano, le donne seguivano la processione attorno alla piazza, con la statua del santo e le sue reliquie alla testa del corteo. Oggi acquistiamo qualche inutilità sui banchetti e facciamo un giro in giostra. Tutto è cambiato. Ma il santuario è ancora nello stesso luogo, da ammirare. E sotto quel Crocefisso il ricordo delle mie ave aleggia, a sentinella di una tradizione familiare che tra poco sparirà, ma sarà sempre presente.

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