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Noi uomini e la Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne

Il 25 novembre ricorrerà la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne e mai tale anniversario assumerà significato dopo il femminicidio di Giulia.
Sono un uomo, padre di due figli maschi e proverò nelle prossime righe a fare la mia parte.

Perché non si può discolpare il patriarcato

Ho 52 anni, sufficienti per aver visto e vissuto dinamiche maschiliste e maciste per poi vederle messe in discussione (per fortuna) dalle nuove generazioni. E non solo.
Sono stato un ragazzino fisicamente esile, amante dei libri e appassionato di nessuno sport, con un paio di occhiali posati sul naso da quando aveva sei anni e troppo sensibile per vivere la propria infanzia e la propria adolescenza tra gli anni Settanta e Ottanta senza essere spiazzato dal modello imperante.
La bestemmia era il marchio che contraddistingueva il maschio vero, così come la sua superiorità rispetto alla partner, anche quando si diceva il contrario. Era la donna che manteneva o disfaceva un matrimonio, sentivo dire nei salotti, ed era sempre lei la responsabile dell’aggressività maschile con le richieste da femministe che si mettevano in testa. Nessuno contestava tali affermazioni.
Ma la vera consapevolezza di questo retaggio culturale l’ho avuto quando ho lavorato in ospedale come infermiere. Spesso i pazienti mi chiamavano dottore perché vedevano un maschio davanti a sé, mentre le giovani specializzande erano apostrofate con “signorine” e un “tu” senza dubbio irrispettoso. Perché?

I fatti contano più delle parole


Ricordo come durante la scuola infermieri, alla fine degli anni Ottanta, una compagna mi chiese aiuto perché un paziente faceva allusioni sessuali per imbarazzarla e allungava le mani. Eravamo al primo anno di scuola professionale e avevamo sedici anni.
Per permettere alle infermiere di portare i pantaloni anziché le gonne, ci sono voluti decenni (a Verona è accaduto nei primi anni Novanta): i pantaloni erano prerogativa maschile e le donne dovevano portare le gonne. Anche se questo significava venire molestate continuamente.
Non dimentichiamo che oltre al patriarcato palese, esiste quello interiorizzato, da uomini e da donne. In questo modo pensi che quello che accade sia ineluttabile e talvolta addirittura che sia colpa tua.
Più avanti mi sono trovato a dover difendere qualche collega, per i più vari motivi, dalle prepotenze di alcuni pazienti e mi rendevo conto che bastava la mia comparsa con piglio severo per ribaltare la situazione. Com’era possibile che io facessi questo effetto? Ero un pacifista, sono tutt’ora una persona pacata che non ama i contesti aggressivi. Ma un maschio sa che anche dentro al più pacifico altro maschio può nascondersi un suo pari altrettanto aggressivo. Questo dovrebbe farci pensare quando l’unica cosa che sappiamo dire è “non siamo tutti così”. È assolutamente vero, ma per secoli siamo stati immersi in una cultura così pregnante che non si cancella con un colpo di spugna. E attivare l’eliminazione della violenza sulle donne è tutt’altro che facile.

Il prezzo da pagare

Recentemente ho letto questo interessantissimo saggio dal titolo Il costo della virilità. Le autrici nella prima parte analizzano e scardinano le teorie per cui i maschi sono da sempre vittime del proprio sesso e della propria aggressività e quindi non possono sottrarsi al proprio essere. E perciò non si può fare nulla. Ma ciò che si scopre è che tali teorie non hanno un vero fondamento e molto si potrebbe fare se l’educazione diretta e indiretta (gli esempi che viviamo in famiglia e nella società) dei figli maschi fosse diversa.
Nella seconda parte si calcola matematicamente quanto denaro sarebbe risparmiato se quei crimini, compiuti per la stragrande maggioranza dai maschi, non fosse compiuta. Vi lascio immaginare i risultati, scontati visto ciò che osserviamo nella società.

L’orrore nelle nostre case

Ciò che più mi fa riflettere è come il femminicidio di Giulia sia accaduto in un contesto di apparente normalità, anche se non dubito che l’assassino avesse dei problemi mentali seri. Poi penso alla Shoah, quando nel cuore dell’Europa persone che prima vivevano una vita qualunque sono diventate razziste e talvolta assassine. Per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne accade lo stesso di quello che succede il Giorno della memoria. Si alzano alcune voci che protestano, contrariate: i genocidi ci sono stati anche in Russia o altrove, per quale motivo insistiamo a ricordare qualcosa che hanno fatto anche altri? Ma ci sono culture diverse da quelle occidentali che sottomettono la donna, perché siamo qua a flagellarci? E in entrambi i casi la risposta può essere solo una: perché accade a casa nostra. Perché sono fenomeni che crescono nelle nostre case e di cui non possiamo non sentirci quantomeno coinvolti.

Conclusioni

La verità è che ci sono atti e crimini tipicamente maschili. Questo indica che se maschi e femmine fossero educati nella stessa maniera, questo squilibrio verrebbe meno. Ma a questa proposta intervengono coloro che gridano all’assalto delle teorie gender, che vogliono ben distinti i ruoli, perché altrimenti i maschi diventano gay e senza coraggio, senza capire che comportamento etico e riflessivo e sessualità non sono vasi comunicanti. La verità è che vogliamo i maschi guerrieri e le donne delle Penelope che li attendono pazientemente. E quando questa pazienza viene meno, il guerriero non può che uccidere. Perché chi fa la guerra, vera o metaforica, è questo ciò che sa fare meglio.

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