Nella notte tra il 25 e il 26 agosto del 1992, in piena guerra dei Balcani in Bosnia ed Erzegovina, perse la vita Aida Buturović, bibliotecaria della Biblioteca Nazionale di Sarajevo. In che modo? Tornando a casa, dopo aver cercato di salvare i suoi amati libri.
La distruzione dei libri durante le guerre
È nota l’avversità per i libri, soprattutto in determinati conflitti. Il rogo dei libri a Berlino il 10 maggio del 1933 è il più noto tra quelli avvenuti in tempi recenti, ma la pratica può assumere numerosi aspetti. Quello meno eclatante, ma più spesso utilizzato, è il bombardamento dei luoghi della cultura. Soprattutto laddove esiste una questione culturale ed etnica, come in questo caso, diventa vitale annientare tutto ciò che rappresenta quella determinata etnia. Nulla di nuovo sotto il sole, tanto che guerre di questo tipo continuano a imperversare nel mondo e l’affermazione di Cicerone “Historia magistra vitae” appare sempre più come un’illusione se non una bugia: l’uomo ripete sempre gli stessi errori e sembra impossibile porre fine a questo. Ma allo stesso modo, esistono persone che cercano di porvi un rimedio. Aida Buturović è stata una di queste.
Salvare la cultura, salvare i libri
Quando una persona percepisce l’importanza dei libri, ci lavora, li ama, non può non sentire l’impulso di salvarli. Non stiamo parlando di testi recuperabili attraverso una ristampa, ma di volumi che rappresentano la testimonianza della cultura, della storia. Pensate che la Biblioteca nazionale di Sarajevo in quel bombardamento ha perso il suo più antico manoscritto che risaliva all’XI° secolo. In quel rogo rimasero bruciati più del 90% dei libri che conteneva. Centocinquantamila esemplari contenuti nella biblioteca erano libri rari e antichi. Dell’edificio costruito nel 1894 rimase solo lo scheletro. Ciò che invece restò e resta è la testimonianza di chi vide persone che cercavano di portare in salvo i libri, tra cui Aida in modo particolare. Quello era il suo mondo e prendersi cura di quei testi per lei era importante.
Aida non morì nel momento in cui metteva in salvo tutti i libri che poteva, ma mentre, probabilmente triste, ma soddisfatta per quello che era riuscita a fare con l’aiuto dei suoi concittadini, tornava a casa. Fu colpita dalla scheggia di una granata, di quelle lanciate dai serbi mentre i loro cecchini cercavano di colpire più civili che potevano.
Ricostruire e ricordare
Nel 2014 la Biblioteca nazionale di Sarajevo fu riaperta, dopo anni di ricostruzione. Ma già dal 1994 qualcuno cominciò a pensare al modo di porre rimedio a quello che possiamo chiamare culturicidio, il più importante dopo quello nazista. Andras Riedlmayer, un bibliografo di Harvard, con il bibliotecario Jeffrey Spurr, diedero vita a un progetto chiamato “Manuscript Ingathering Project” con l’obiettivo di raccogliere microfilm contenenti i manoscritti bruciati durante quell’incendio. Si unì a loro la sorella di Aida, Amila, ricercatrice di storia della religione e cultura presso la York University in Canada. Andras citò Aida nel portare avanti il progetto perché il suo gesto rappresentava il desiderio di conservazione e diffusione del sapere che le guerre mirano ad annientare. Ma se la morte fisica è spesso inevitabile, il desiderio di rinascita e ricostruzione resiste sempre. Grazie al ricordo dell’amore per i libri di Aida possiamo continuare ad avere la certezza che in ogni condizione c’è qualcuno che salverà la cultura da consegnare a chi rimane.
Conclusioni
Aida Buturović non va certo santificata, gli eroi nelle guerre sono altri. Eppure il valore civile del suo gesto deve farci riflettere. Perché spesso l’eroismo si nasconde nei gesti non essenziali. Di fronte alla morte, alla fame, al dolore, che significato ha salvare i libri? Ha il significato di pensare alla vita come a qualcosa di molto più importante che alla sola sopravvivenza. Perché non siamo animali che nascono e muoiono senza un senso, ma persone che un senso alla vita lo posso dare. Anche attraverso la cultura, la lettura e i libri.
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