livelli biblioterapia

I diversi livelli per fare biblioterapia

Il termine biblioterapia è un termine “ombrello” sotto cui stanno molte cose. Tuttavia la biblioterapia non è ogni cosa che riguarda i libri e prevede diversi livelli. Proviamo quindi a fare chiarezza su chi usa la biblioterapia e come.

Non tutto ciò che ha a che fare con i libri è biblioterapia

Siamo chiari: non basta dire che i libri fanno bene per definire come attività di biblioterapia qualsiasi progetto in cui ci siano i libri. In realtà non sono pochi quelli che sfruttano questo equivoco, ma se guardate nella biblioteca di biblioterapia di questo sito vi renderete conto che le cose non sono così semplici e scontate. Anche gli antichi dicevano che i libri facevano bene, che erano una sorta di medicina. Il passaggio per diventare biblioterapia riguarda l’intenzionalità di svolgere un certo tipo di lavoro all’interno di un setting con consapevolezza e pertinenza. Nello specifico, un gruppo di lettura è certamente salutare, ma non è biblioterapia perché leggere e parlare del libro è l’obiettivo. In un gruppo di biblioterapia, invece, il libro è lo strumento per raggiungere un obiettivo che va individuato studiando i bisogni degli utenti. In gergo siamo di fronte alla biblioterapia centrata sulla persona, ovvero il materiale letterario che viene scelto è selezionato a seconda delle necessità dei partecipanti del gruppo.

I diversi livelli di biblioterapia

L’estrema sintesi fatta sopra non tiene conto di una particolarità: ci sono livelli diversi in cui praticare la biblioterapia perché può essere applicata in diversi contesti. Un gruppo di biblioterapia nato appositamente per un percorso di crescita personale avrà un conduttore di alto livello in grado di gestire persone diverse tra loro e con bisogni differenti. Un professionista che utilizza la biblioterapia nella sua pratica quotidiana, penso a un docente o a un bibliotecario o a un educatore, avrà acquisito alcune tecniche specifiche di biblioterapia riguardante il settore in cui lavora. La sua preparazione sarà buona, ma limitata al suo ambito. Praticherà la biblioterapia e la ripetitività dell’attività in un setting sempre uguale gli permetterà di perfezionarsi (ovviamente insieme al dovuto aggiornamento formativo). Esiste poi un livello minimo in cui persone comuni praticano non una vera e propria biblioterapia (anche se negli studi viene chiamata, e pertinentemente, in questo modo), ma un’attività a cui sono stati indirizzati da facilitatori di biblioterapia con obiettivi specifici. Ad esempio, ci sono studi sull’utilizzo della biblioterapia da parte dei genitori di bambini piccoli o figli con problemi cognitivi. Loro non svolgono un’attività di conduzione come farebbe un professionista, ma ricevono una consegna da parte di chi poi verificherà il raggiungimento dell’obiettivo prefissato. La fiaba della buona notte che tutti i bambini del mondo dovrebbero ricevere dai propri genitori non è biblioterapia, anche se sappiamo quanto faccia bene. Ma se genitori con figli con bisogni particolari vengono istruiti a leggere a loro per una quantità di tempo determinato e utilizzando i libri in un certo modo per raggiungere un obiettivo, ecco che la cosa cambia.

Biblioterapia per tutti

Se facciamo un passaggio ulteriore, esiste il progetto Book on prescription che mira all’utilizzo dei libri di auto-aiuto ed educativi, selezionati da un comitato scientifico di esperti e indirizzato a fasce di utenti specifici, come ad esempio le persone in riabilitazione psichiatrica. Anche in questo caso, come nella situazione dei genitori, il facilitatore o l’esperto è presente, ma in modo indiretto o in fasi specifiche dell’attività.
Tutto questo spiega perché esistono differenti livelli di formazione riguardanti la biblioterapia. A fronte di un percorso formativo specifico, il singolo professionista ha delle responsabilità etiche (e non solo) per cui deve restare all’interno di confini professionali ben determinati. La vera complessità sta nell’essere in grado di distinguere ciò che è biblioterapia da ciò che non lo è, affinché il tutto non si riduca a una politica di mercato e di marketing. Se da una parte mi è capitato di vedere attività in cui il marchio “biblioterapia” serviva per attirare persone, ma non lo era, dall’altro tale parola viene respinta così come l’attività correlata perché il suffisso “-terapia” sa troppo di medicina e di disciplina medica. Tutto questo fa parte della complessità di uno strumento che può essere utilizzato sia in ambiti clinici sia di crescita (qui) in modo trasversale e in qualsiasi contesto. Grande risorsa, ma talvolta davvero difficile da gestire.

Conclusioni

Quanti sono quelli, soprattutto tra coloro che si occupano di letteratura a livello professionale, a non credere all’utilità della biblioterapia? Sono molti perché credere possibile che i benefici dei libri possano essere indirizzati e rafforzati a scopo di crescita e sviluppo non è facile. In molti ambienti didattici si fa ancora fatica a parlare di piacere della lettura, figurarsi di biblioterapia. Ma la realtà sta cambiando perché i diversi livelli in cui è possibile praticare questa tecnica ne sta rendendo possibile la diffusione. E il numero di persone che la sperimenta e testimonia la sua utilità è in continua crescita.

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