
Un aspetto poco considerato nell’utilizzo della biblioterapia è il suo abuso. Mi spiego meglio. I libri sono un potentissimo strumento nel bene, ma anche nel male. Quando parliamo di utilizzo della letteratura nei processi di benessere trascuriamo di considerare che la letteratura può anche essere messa in campo per scopi non etici. Proselitismo religioso, diffusione di ideologie violente e condizionamenti psicologici ne sono alcuni esempi.
Ho trovato interessante un articolo (qui) che parla della pubblicazione di graphic novel in grado di traghettare argomentazioni di estrema destra come l’incitamento alla violenza e al razzismo. Non solo. In alcuni casi vi è anche una forma sottile di revisionismo storico o, quanto meno, la visione di eventi filtrata e indirizzata in una determinata direzione. In realtà nulla di nuovo sotto il sole: l’editoria si muove in diverse direzioni e alcune forme di questa hanno una chiara ideologia politica. E il graphic novel è particolarmente efficace per certi scopi: è uno strumento di compressione immediata, i messaggi sono veicolati più facilmente dalle immagini e possono arrivare a persone che non leggono più di tanto o anche a chi solitamente non legge affatto.
Dal punto di vista della biblioterapia è necessario porsi in un’ottica etica e deontologica non semplice da applicare perché spesso condizionata da principi personali. La domanda conseguente è una sola: come deve comportarsi il biblioterapista quando le sue posizioni personali non collimano con i valori universali? Per capire meglio, prendiamo il razzismo come esempio. I codici deontologici esistenti indicano il dovere di ispirarsi a valori antirazzisti. Le pubblicazioni editoriali, come quelle di cui ho parlato sopra, mettono a disposizione strumenti che in un setting di biblioterapia potrebbero essere utilizzati per favorire il razzismo. E’ chiaro che non è possibile adoperarli per questo scopo, semmai per dimostrare come ci siano autori che incitano a questo tipo di atteggiamento e quanto sia importante combatterlo. E se il biblioterapista razzista? Quando faccio formazione non ho dubbi: i valori universali vanno rispettati e non c’è spazio per i dubbi. Il biblioterapista razzista non può favorire il razzismo e se in cuor suo ha questa idea, deve tenerla per sé. Qualcuno potrebbe obiettare che ci sono valori oggi considerati universali, ma non ancora condivisi da tutti, ad esempio il diritto di esistere della coppia omogenitoriale. Da un punto di vista etico e deontologico questa idea va sostenuta e diffusa. E il biblioterapista contrario a questo tipo di pensiero? Esattamente come indicato prima, dovrà tenere le sue idee per se stesso. Qui non si tratta di censura o di divieti. Semplicemente chi pratica la biblioterapia è un professionista con indicazioni etiche e deontologiche da seguire. Un sanitario con idee razziste non può esimersi dal curare le persone di ogni razza. Allo stesso modo, il biblioterapista non può manifestare valori diversi da quelli universali.
Non tutte le questioni sono così chiare. Ad esempio, il diritto all’aborto è una condizione che vede spesso la società civile divisa a metà. In un caso come questo? Senza titubanze dico che l’antiabortista nelle funzioni di biblioterapista dovrebbe semplicemente evitare di affrontare il tema nelle funzioni del proprio ruolo, onde evitare contraddizioni. Questo esempio ci permette di capire meglio quanto sia ancora area di discussione situazioni come queste. E tale consapevolezza ci fa comprendere quanto importante sia la questione etica e deontologica, che non si profila come una materia secondaria, ma come l’asse portante dell’agire.
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