
Nei promotori della lettura presso i bambini e gli adolescenti c’è il legittimo dubbio che talvolta le storie vengano utilizzate a scuola con scopi “terapeutici” a scapito del piacere della lettura. Mi spiego meglio. Spesso per parlare di un problema o per risolvere una divergenza, come la questione del bullismo o le difficoltà con i genitori o altro, si parte da un testo per poi discutere in classe dell’argomento, cercando di far esprimere i giovani lettori e dare loro un esempio tramite la trama. La lamentela dei promotori della lettura è che questo mostra il leggere non come un piacere personale, ma come una forma di terapia o, almeno, un richiamo continuo a problemi da risolvere e situazioni conflittuali.
Da biblioterapista credo che questi promotori abbiano ragione. Soprattutto quando si tratta di bambini che ancora devono scoprire il valore della lettura in sé, la necessità di entrare in contatto con il piacere che possono provare leggendo un libro sia una tappa fondamentale, senza la quale la biblioterapia potenziale non potrà essere utilizzata al momento opportuno. Quando si parla dell’utilizzo della biblioterapia nelle scuole non si intende che questa vada a sostituire la promozione della lettura o si collochi al posto delle attività di studio della letteratura. L’insegnante che utilizza la biblioterapia dovrebbe applicarla in un contesto dedicato, dove è chiaro qual è lo scopo, in un setting specifico e con gli strumenti necessari. Certamente un insegnante può utilizzare alcuni strumenti di biblioterapia durante le sue lezioni, ma senza mai sostituirli con quelli di promozione della lettura e ricerca del piacere del leggere.
Ho recentemente svolto un lavoro in un liceo e mi ha sorpreso scoprire che il piacere della lettura gli era quasi sconosciuta. La maggior parte di loro non era abituato a scegliere i libri e a leggerli per puro piacere personale. Ma senza il piacere della lettura, la biblioterapia difficilmente può essere applicata. Mescolando le due discipline, promozione della lettura e biblioterapia, si rischia di non fare bene né l’una né l’altra.
Stimoliamo i giovani a leggere con piacere libri cartacei scelti da loro, guidandoli quel tanto che serve. Solo dopo, in un contesto a parte e un obiettivo condiviso con loro, sviluppiamo un laboratorio di biblioterapia, che possiamo anche chiamarla in un altro modo se questo termine disturba, come fanno in alcuni paesi dove viene chiamata Shared Reading. Perché trovare il benessere con i libri non significa medicalizzare lo splendore della letteratura, ma seguire nuovi sentieri dei libri che il piacere della lettura può indicarci.
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